“In Abruzzo l’aria ha un sapore diverso. Nutrita di rupi e sassi, di radure e boschi, di laghi e ruscelli e torrenti e fiumi, l’aria ha uno scatto, un’elasticità di muscoli, una pungente, tagliente acredine che sa di spazi nordici, di scoscese dimore montane.”
“L’Abruzzo è ancora una terra di sentieri, cavedagne, tratturi. Questa struttura frammentata e schiva rende difficile sondare tutti i luoghi in cui si acquattano i più segreti tesori d’Abruzzo.”
L’affascinante Abruzzo nelle parole di Giorgio Manganelli, giornalista, scrittore e traduttore. Andiamo adesso a conoscere una piccola parte di questa regione facendo cullare, come nostro solito, dalle onde di Isoradio. Siamo sulla A25 Roma-Pescara che permette di attraversare in parte la regione e di avvicinare il Lazio alla costa adriatica. Noi ci fermiamo ad ascoltare i nomi di due uscite che hanno solleticato la nostra curiosità: Cocullo e Pratola Peligna.
Partiamo con approfondire la conoscenza di Cocullo, un comune italiano di appena 211 abitanti nella provincia dell’Aquila. Si trova sulle colline al confine tra la valle Peligna e la Marsica, nell’alta valle del Sagittario.
Il borgo è famoso per la tradizionale “festa dei serpari” che si svolge annualmente in onore di San Domenico Abate. Per la sua importanza la festa è stata candidata presso l’UNESCO come Patrimonio immateriale dell’umanità.
È interessante conoscere anche la zone naturalistiche limitrofe che nascondono una millenaria storia di erosione dovuta alle acque del fiume Sagittario. Queste hanno dato vita ad uno spettacolare canyon che prende appunto il nome di “Gola del Sagittario”.
Torniamo a Cocullo e all’origine del nome su cui non ci sono certezze. Un’ipotesi sull’etimologia di Cocullo è quella di farlo risalire all’abitato di età romana “Koukolon” citato anche da Strabone.
Alla festa patronale dei Serpari invece si attribuiscono origini derivanti dal culto marsicano della dea Angizia che sapeva dominare il fuoco e i serpenti.
La credenza e la tradizione italica era così forte che i Romani affibbiarono a questo popolo il nome di guaritori e di maghi che usavano il veleno del serpente.
Probabilmente questo rito era praticato anche nel villaggio romano di Cocullo, e con l’arrivo del cristianesimo, la figura di San Domenico abate venne associata a questa tradizione già millenaria, venendo purificata dal paganesimo per assumere un simbolico valore taumaturgico cristiano.
Questo antichissimo rito si celebra ogni 1 maggio e possiamo parlare di una festa sacra-profana.
Tutto ha inizio con i serpari che alla fine di marzo si recano in montagna in cerca dei serpenti. Una volta catturati, vengono custoditi con attenzione in scatole di legno (in tempi remoti dentro dei contenitori di terracotta) per 15-20 giorni nutrendoli con topi vivi e uova sode.
Questa usanza sarebbe legata ai riti pagani dei Marsi, antico popolo italico. In epoca contemporanea viene celebrata in onore di San Domenico che è ritenuto protettore dal mal di denti, dai morsi di rettili e dalla rabbia. San Domenico era un monaco benedettino di Foligno che attraversò il Lazio e l’Abruzzo fondando monasteri ed eremitaggi. A Cocullo si fermò per sette anni, lasciando un suo dente e un ferro di cavallo della sua mula, divenute delle reliquie.
Per questo la mattina della ricorrenza, nella chiesa a lui dedicata, i fedeli tirano con i denti una catenella per mantenere i denti stessi in buona salute e poi si mettono in fila per raccogliere la terra benedetta che si trova nella grotta dietro la nicchia del santo.
La terra sarà poi tenuta in casa come protezione dagli influssi malefici, sparsa nei campi per allontanare gli animali nocivi oppure sciolta nell’acqua e bevuta per combattere la febbre.
Come detto in precedenza, per alcuni storici questa festa è da correlare ai culti della dea Angizia, principalmente venerata presso gli antichi Marsi, per altri studiosi invece, la si deve attribuire alla mitologia di Eracle. Infatti nella frazione di Casale sono stati rinvenuti dei bronzetti votivi raffigurante proprio Eracle che, come si sa, strangolò nella culla i due serpenti mandati da Era per ucciderlo.
Nell’Eneide è presente la figura di Umbrone, giovane serparo marso: alleato di Turno nella guerra contro Enea, sarà ucciso dal capo troiano in persona.
La festa ha inizio con la folla che incomincia a tirare con i denti la campanella della cappella di San Domenico, all’interno della chiesa omonima. Secondo la tradizione, questa cerimonia servirebbe a proteggere i denti dalle malattie che li potrebbero affliggere.
A mezzogiorno, dopo la Santa Messa, fatta uscire dalla porta della chiesa, inizia la processione della statua del santo invasa dalle serpi catturate nei giorni prima. Parte dalla chiesa di San Domenico e prosegue per le stradine del centro storico.
Ai fianchi della statua del Santo, due ragazze vestite con abiti tradizionali, portano sulla testa un cesto contenenti cinque pani sacri chiamati ciambellani in memoria di un miracolo che fece san Domenico. Questi pani vengono donati per antico diritto ai portatori della Sacra Immagine e del gonfalone.
Al termine della festa, la statua è riportata in chiesa, si assiste allo sparo dei mortaretti, si mangiano i pani sacri, i rettili vengono riportati al loro habitat naturale dai serpari.
Tornando all’architettura del borgo, una delle principali opere del centro storico di Cocullo vi è la torre medievale in muratura, costruita con blocchi di pietra di base quadrata. Questa torre è stata adattata poi come campanile della chiesa di San Nicola. Si trova nella parte alta del borgo, poiché la torre di guardia longobarda fungeva da avvistamento.
La torre fu edificata nel XII secolo, quando Cocullo fu conquistata dai Normanni, e venne convertita a campanile già in questo secolo, esistendo già la cappella del palazzo baronale o castello, citata nella bolla di papa Lucio III (del 1181) e nella visita pastorale del vescovo dei Marsi nel 1356.
Altra interessante architettura è la chiesa di Santa Maria delle Grazie che si trova nella parte centrale del paese. La chiesa risale al XIII secolo, costruita sopra un tempio romano (il santuario di Giove).
Andando nei dintorni andiamo adesso a conoscere le gole del Sagittario.
La millenaria erosione delle acque del fiume Sagittario, ha dato vita ad un canyon spettacolare, da visitare a pochi chilometri da borgo di Cucullo. Le gole del Sagittario sono un paradiso naturale oggi oasi del wwf. Per chi ama la natura incontaminata è un luogo per esplorare con facili escursioni sui sentieri.
Si tratta di un’area naturale meravigliosa che si estende per circa 400 ettari e si snoda tra rupi altissime, sorgenti e lo scorrere incessante del fiume: uno scrigno naturale che devi visitare e che si trova a circa un’ora da Roma.
Per la sua importanza e per le specie animali che ospita il luogo è stato dichiarato nel 1991 Riserva Naturale Regionale Oasi WWF Gole del Sagittario.
L’area si trova nel comune di Anversa degli Abruzzi ed è raggiungibile dall’uscita autostradale Cocullo in 15 minuti.
Il modo migliore per scoprire questa terra incantata è a piedi o in bicicletta seguendo uno dei tanti percorsi segnati dal CAI.
Una volta qui potrete ammirare il borgo che fu rappresentato in una litografia di Escher nel 1929 (qui trovate tutte le informazioni) e finalmente rilassarvi nell’oasi WWF delle Gole del Sagittario.
Il fiume sagittario si trovano nella zona del comune di Anversa degli Abruzzi ed è importante ricordare che della sua unica frazione, Castrovalva, si era perdutamente innamorato il pittore Escher.
Castrovalva un borgo di 14 abitanti è situata su uno sperone roccioso che si erge dalla cresta del monte Sant’Angelo, a 820 metri sul livello del mare.
L’artista Maurits Cornelis Escher realizzò nel 1929 una famosa litografia proprio raffigurante Castrovalva. Il comune di Anversa ha deciso di dedicare l’ultimo tornante prima dell’ingresso al paese proprio all’artista olandese. Proprio da questo punto è possibile ammirare Castrovalva dalla stessa angolazione e prospettiva raffigurata nella litografia.
Andiamo adesso alla seconda tappa e uscita del nostro viaggio sulla A25.
Pratola Peligna (Pratëlë in abruzzese) è un comune di circa 7 mila abitanti. Siamo nella provincia dell’Aquila e più precisamente nella comunità montana Peligna.
Situato nella così detta “Conca Peligna”, per buona parte si tratta di una zona montuosa che culmina con la sommità della dorsale del Morrone.
Il primo documento in cui compare il nome di Pratola (“in loco Pratulae“) è un contratto agrario del 997, riportato nel Chronicon Volturnensis e nel corso del XII secolo fu creato un centro fortificato: nel 1170 il castrum Pratulae.
Solo nel 1863 troviamo con regio decreto il nome di Pratola Peligna.
La storia del paese è caratterizzata da diversi fermenti popolari e sono da ricordare nel 1799 la rivolta contro l’invasione francese, l’opposizione alla Costituzione del governo borbonico di Ferdinando II nel 1848 e la sommossa del 1934 contro il regime fascista.
Al centro storico, detto “dentro la terra”, di impianto medioevale, si accede dall’arco d’Angiò e il cuore del borgo è la piazzetta di San Pietro Celestino dove si trovano la chiesa omonima e quella della Santissima Trinità.
Interessante il “Museo della Civiltà Contadina” inaugurato nel 1995 negli ambienti del “Vecchio Mulino” dei Celestini.
Le tradizioni gastronomiche del paese discendono dalle tradizioni della cucina contadina.
I “fagioli di Pratola”, “poverelli” e “cannellini”, costituiscono l’ingrediente base di numerosi piatti tipici.
Il pranzo della vigilia di Natale è particolarmente caratteristico e comprende “le sette minestre”, sette portate cucinate con prodotti locali: minestra di lenticchie, minestra di ceci, spaghetti al sugo di trota o di tinca, baccalà, cavoli lessi e scrippelle salate in sostituzione del pane. Il piatto tipico della domenica delle Palme è la “sagna riccia con la ricotta”, reginelle secche condite con ricotta di pecora e ragù di agnello. Tra i dolci degni di nota sono “le pizzelle”, i “ceci ripieni” (fagottini a mezzaluna con ripieno di passata di ceci, mosto cotto, cioccolato e canditi) e la “pizze” “di Carnevale” e “di Pasqua”.
Inoltre a Pratola si producono vini come il Montepulciano d’Abruzzo, il Cerasuolo ed il Trebbiano.
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