“Gli altri – mi diceva un vagabondo – trovano piacere nell’avanzare; io nell’indietreggiare.” (Emil Cioran)
“Un barbone, ecco cos’ero. un vagabondo. Senza mai la voglia di volare, sempre in cerca di fortuna.” (Charles Bukowski)
“Hobo non è solo un lavoratore nomade, è anche uno che si gode la vita, un superstite del romanticismo. Nutrito di un immaginario potente, impersona la figura del pionere, dell’esploratore.” (Michel Franck)
Per la rubrica “le parole di Latitudini” andiamo ad indagare questa parola che identifica più un modo di vivere che una persona.
Un “Hobo” è un lavoratore migratorio o un vagabondo senza casa, in particolare una persona comunque senza soldi che si sposta di continuo. Il termine ha avuto origine nel così detto West del Nord America intorno alle fine dell’ottocento. Si differenzia da altre tipologie di lavoratori stagionali perché si identifica come “lavoratore itinerante”.
L’Hobo è un vagabondo che sceglie in maniera volontaria uno stile di vita improntato alla semplicità, alla ricerca dell’avventura, viaggiando e vivendo senza una fissa dimora.
Svolge lavori saltuari e occasionali esclusivamente per permettersi di continuare a percorrere il suo stile di vita improntato alla frugalità e alla ricerca interiore.
Questo tipo di “cultura” nasce negli USA e si fa largo tra i disoccupati e tra colori che, usciti dagli orfanotrofi, si potevano permettere di vivere esclusivamente ricorrendo ad espedienti, viaggiando clandestinamente, facendo lavori stagionali e spostandosi sui treni merci in mezzo al bestiame e alle sementi.
Da una prima fase che si sviluppa per necessità, la cultura Hobo fa presa anche tra i giovani irrequieti di buona famiglia e tra tutti coloro che sono spinti dalla necessità di uscire da una vita sociale obbligata.
La cultura Hobo cavalca in questo modo l’insofferenza sociale di una generazione che nasce nella buona borghesia americana, con giovani spinti dal proprio spirito ribelle a vivere una sorta di periodo tardo romantico.
Si possono riconoscere personaggi legati alla cultura Hobo in scrittori come Jack London, e come Kerouac e più tardi anche in alcune serie tv americane molto conosciute anche in Italia come “La grande vallata” e “La casa nella prateria”.
L’origine incerta del termine Hobo è fatta risalire a “hoe-boy” che identificava il bracciante o al saluto “Ho-boy” in voga a fine ottocento nell’ovest degli Stati Uniti. Da ricordare che “Ho” viene anche utilizzato come contrazione di “homeless” e Bo di “boy” che legati insieme definiscono proprio “homeless-boy”, il “senzatetto”.
Possiamo identificare l’esperienza del “vagabondaggio” americano come il “rovescio della medaglia” del Grand Tour settecentesco dei giovani rampolli nobiliari europei.
La visione edonista e romantica del Grand Tour di fine settecento e inizio ottocento portato a compimento dai giovani inglesi e tedeschi, facenti parte delle famiglie abbienti dell’aristocrazia europea, contrasta in maniera importante con l’esperienza “al limite” che identifica la “cultura Hobo” americana, probabilmente più legata ai primi coloni e ai cercatori d’oro del Klondike.
Il termine Hobo è stato poi utilizzato in senso estensivo per identificare in generali i “disadattati” anche stanziali, con quartieri frequentati nelle grandi metropoli americane e con centri d’incontro e culturali dedicati.
La difficoltà oggettiva degli Hobo non riguardava solo la sopravvivenza ma anche l’accettazione da parte della società di questi “esclusi”, genericamente associati a criminali. Il vagabondaggio venne visto quasi come un reato in una società americana tesa a voler includere nei propri modelli di sistema ogni persona.
Infine negli anni ‘60 e ’70 il fenomeno si disperde e confluisce nella cultura hippie americana, con il viaggio in autostop o con furgoni riadattati tipo Van. Ai giorni nostri possiamo ancora sentire il sapore della cultura Hobo dispersa nel back ground di culture legate ai rave party, ai punkabbestia e agli odierni senza tetto.
Per chi volesse saperne di più e comprendere meglio la cultura “hobo” suggeriamo di leggere “Sociologia dell’uomo senza dimora” di Nels Anderson.
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