Tornata di moda nelle ultime settimane come icona della mostra di Giuseppe Veneziano a Pietrasanta, la “Banana blu” è in realtà un concetto di geografia economica nato più di trent’anni fa per indicare una vasta area dell’Europa centrale.
Nella sua forma allungata individua il territorio compreso tra i due più rilevanti poli commerciali sul Mar Mediterraneo, vale a dire Genova e Venezia e quelli situati nel Mare del Nord (Amsterdam, Bruges e Londra).
Il primo ad utilizzare questo concetto nel 1989 fu le “Nouvel observateur” in un articolo di Josette Alia accompagnato da una grafica accattivante. Il nome “Blue Banana” fu coniato da Jacques Chérèque, sindacalista e politico francese, con il colore blu che stava a significare sia la bandiera della Comunità Europea che i colletti blu delle fabbriche della regione di Montpellier.
Il padre del concetto stesso però è indiscutibilmente il geografo francese Roger Brunet che vedeva nella “spina dorsale europea” la strada già tracciata nei secoli dalle rotte commerciali nate dal medioevo.
Quando nel 1989 l’istituto “Reclus” di Montpellier realizzò lo studio sotto la guida di Roger Brunet sull’avvenire delle città europee, le sue conclusioni evidenziavano un corridoio urbano coerente di forma ricurva, che si estendeva da Londra a Genova, una vera e propria megalopoli, centro principale dello sviluppo spaziale europeo. Questo sviluppo di industria e servizi si estendeva dall’Inghilterra settentrionale fino al nord Italia.
Questa dorsale era confermata anche dal dato della densità di popolazione in Europa nel 1994, che mostra la più alta densità lungo la banana blu. In questo corridoio discontinuo di urbanizzazione che si estende nella parte centrale e occidentale del vecchio continente, definito anche come “Megalopoli Europea”, possiamo contare una popolazione di circa 111 milioni di abitanti.
Il concetto di Banana Blu fu velocemente distorto a causa della sua semplicità di rappresentazione che permise un facile utilizzo per manager e politici.
Il suo prendere piede e divenire “di moda” portò inesorabilmente ad allargare i confini della dorsale europea presa come simbolo di sviluppo economico e zona di attrazione per gli investitori privati.
Nelle versioni successive la “Banana Blu” includeva Parigi e aveva allargato i propri confini diventando più una competizione regionale che un’area di sviluppo economico. Inoltre nell’ultima versione la “Blue Banana” aveva più di una curva, includendo ancora il Nord Italia, arrivava fino a Barcellona e aveva il confine anglo-scozzese come suo apice settentrionale.
Nel concetto distorto dalla ricerca per conto della Commissione, la Blue Banana ha rappresentato un nucleo sviluppato a spese della periferia, mentre Brunet aveva inquadrato la Blue Banana come una regione di sviluppo economico positivo.
Per effetto domino, le collettività situate alla periferia di questa banana cercarono di venire integrate al suo interno. Questa banana guadagnò in spessore, andando a incorporare anche le regioni più remote che incaricarono i propri responsabili dello sviluppo di disegnare futuri corridoi, avendo per obiettivo quello di avvicinarsi al cuore dell’Europa.
In questo modo fecero la loro comparsa le “banane scandinave”, l’arco mediterraneo” e il “Solco alpino”. In Italia, oltre la Lombardia che rientrava sin da subito nella “Banana Blu”, si sono create nuove linee di sviluppo economico in Veneto, in Friuli-Venezia Giulia e fino alla Slovenia, attraverso i punti di collegamento della “Via della Seta” marittima.
In particolare, il porto di Trieste gioca un ruolo importante per la zona economica dell’Europa Centrale e delle Banane Blu in quanto accorcia i tempi di consegna da Shanghai di dieci giorni e da Hong Kong di nove giorni, riducendo significativamente i costi di trasporto e il consumo di CO2, toccando anche aspetti di sostenibilità ambientale oltre a quelli economici.
L’obiettivo in ottica evolutiva è quella di limitare questa corsa alla “Banana blu” ed eliminare questa dicotomia tra aree centrali e periferiche, perché sulla base della rappresentazione della Banana blu ai margini rimarrebbero aree periferiche e con minor sviluppo come sud Italia, Spagna meridionale, Grecia, Francia occidentale e centrale, Irlanda, Spagna e Portogallo.
In questo contesto sono nate la “Banana d’oro”, area compresa tra Valencia e Milano, considerata propulsiva per l’economia mediterranea, con alcune aree che risultano con ampie potenzialità economiche (aree mediterranee di Spagna e Francia, l’Italia del Nord e quella centrale) con un arco tra Madrid e Roma che si interseca con la Dorsale centrale (chiamato «Nord del Sud») denominato Arco Latino.
Ad est si sarebbe invece creata una Banana verde, area di convergenza metropolitana nord a sud dalla Polonia e dal Mar Baltico fino alla Croazia sul Mar Adriatico.
Diversi autori hanno criticato la Banana blu, in quanto frutto di una visione ormai datata e legata al periodo della Guerra fredda e solo parzialmente indicativa oggi del fenomeno di conurbazione esistente tra il Mare del Nord e la valle del fiume Reno.
Oggi il concetto di Banana Blu proprio per questi motivi è stato superato da quello di policentrismo, proprio per la possibilità di non limitare a determinati territorio il concetto di sviluppo. Il prezioso contributo di Brunet rimane in ogni caso per comprendere in buona sostanza il fenomeno di conurbazione che si osserva nella zona tra il Mare del Nord e la Valle del Reno.
Il concetto che fa da trait d’union in questo contesto evolutivo è quello di “grappolo d’uva europeo”, coniato da Klaus Kunzmann e Michael Wegener nel 1991, che permette di vedere ogni piccola o grande cittadina come un acino del grappolo, auspicando il passaggio ad un sistema urbano di area e una struttura di tipo reticolare-policentrico.
Il passaggio da un modello territoriale di tipo centro-periferia a un modello fondato su molteplici centri distribuiti, nel quale sia realizzata una crescente integrazione dei sistemi urbani periferici, valorizzando le specifiche risorse dei territori preservandone la diversità.
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