Nel nostro viaggio alla scoperta de “l’Italia immaginata alla radio” non potevamo non trovarci anche sulla A22. Gli auditivi come colui che vi sta scrivendo si ricordano bene lo speaker di Isoradio parlare delle “code di mezzi pesanti per traffico intenso tra Chiusa e Vipiteno”.
Andiamo allora a conoscere questi luoghi.
Partiamo intanto da tutti coloro che quando sentivano alla radio “Uscita Chiusa” l’hanno sempre interpretata con la “c minuscola”, pensando irrimediabilmente al fatto che non fosse praticabile.
Superato questo piccolo intoppo iniziale, anche utilizzando il nome alto-atesino Clausen, possiamo cominciare a introdurci nell’interessante borgo di Chiusa.
Siamo nella cittadina conosciuta come “Città degli Artisti” e in particolare per Albrecht Dürer, il grande pittore tedesco che nell’autunno del 1494 si fermò a Chiusa, salì i pendii del Monte Tschan sul versante sinistro della valle e cominciò a metterla su tela.
Un bellissimo sentiero porta oggi dal centro del paese a questi pendii dove in pochi minuti si raggiunge una panchina dove il pittore disegnò da la cittadina da una vista panoramica.
La Pietra di Dürer, il luogo da dove Albrecht Dürer dipinse Chiusa nel 1494, e la splendida veduta della cittadina, col dipinto ormai andato perduto, si ritrova nell’incisione dello stesso celebre pittore intitolata Grande Fortuna (o Nemesi), in cui compare un piccolo borgo medievale nella parte inferiore e con sopra una figura femminile di dimensioni poderose raffigurante la dea del destino.
Per raggiungere la Pietra di Dürer bisogna partire da Piazza Parrocchia e da qui prendete il Sentiero di Dürer, contrassegnato dal segnavia numero 5. In 10 minuti a piedi arriviamo al punto panoramico che oltre 500 anni fa lasciò senza fiato il geniale artista di Norimberga.
A ben ragione Chiusa si definisce quindi la cittadina di Dürer e c’è chi vuole recarsi nel posto sopra citato per cercare la “pietra di Dürer” (Dürerstein), un pellegrinaggio simile a quello del Basteibrucke nella Svizzera Sassone, in Germania, sulle orme di Kaspar Friedrich.
La nostra visita al centro di Chiusa comincia camminando accanto al fiume Isarco. Avvicinandoci alla città alta lo sguardo viene catturato dalla maestosità del monastero di Sabiona, uno dei principali luoghi d’interesse della Valle Isarco.
Attraversato il ponte San Cassiano è possibile raggiungere piazza Mercato, dove inizia il lungo corso che mette in collegamento la Città Alta con la Città Bassa.
Facile rimanere affascinati dalle eleganti facciate delle abitazioni e dalle insegne dei negozi, due peculiarità grazie alle quali Chiusa è entrata a far parte del prestigioso circuito dei borghi più belli d’Italia.
All’inizio della Città Alta, non appena superata l’antica porta medievale (Porta Bressanone), ci imbattiamo sulla destra nell’ingresso della Chiesa degli Apostoli. L’edificio religioso, realizzato in stile gotico e con un’unica navata centrale, risale alla seconda metà del Quattrocento.
La Città Alta termina in Piazza Parrocchia, dominata dalla Chiesa di Sant’Andrea.
Proseguendo sulla via principale inizia la Città Bassa, caratterizzata da un corso pedonale più breve rispetto alla Città Alta, mentre per il resto non notiamo grandi differenze. Continuano a farci compagnia le stesse eleganti abitazioni ammirate poco prima, forse con colori un po’ più vivaci del resto dei caseggiati.
Ed eccoci arrivati in Piazza Tinne, la seconda piazza principale di Chiusa dopo Piazza Parrocchia e quella più gettonata dai turisti.
Piazza Tinne segna la fine del centro storico di Chiusa e proseguendo più avanti entriamo nel quartiere Fraghes, dove troviamo il Museo civico, ospitato all’interno dell’ex Convento dei Cappuccini, tappa obbligatoria per chiunque ami l’arte.
La visita al Museo civico di Chiusa consente di capire le origini del soprannome “città degli artisti” assegnato da tempo al borgo medievale. Il merito va alla sezione intitolata Colonia Artistica di Chiusa, dove rivive la gloriosa epopea iniziata dalla seconda metà dell’Ottocento e proseguita fino alla grande guerra, quando nel piccolo paese dell’Alto Adige soggiornarono oltre 300 artisti di diversa nazionalità.
Antesignano di questi artisti fu, come già accennato, il celebre pittore tedesco Albrecht Dürer, ritenuto il principale esponente della pittura rinascimentale del suo Paese. Oltre a Dürer, l’altro talento artistico profondamente legato alla città fu il tedesco Alexander Koester (vissuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento), a cui è dedicata una parte speciale di questa sezione.
Andiamo adesso a conoscere Vipiteno. Questo borgo nel Nord del Trentino Alto Adige, in provincia di Bolzano, è attraversato dal fiume Isarco.
Il suo centro storico è davvero suggestivo, con la sua strada principale che collega la città nuova alla città vecchia, con una divisione netta creata attraverso la celebre Torre delle Dodici.
Lungo questa via si trovano i più celebri palazzi cittadini, in cui i portici si alternano alle facciate sfarzose degli edifici, chiaro simbolo della ricchezza dei suoi abitanti durante i secoli.
A sud del centro storico sono presenti altre mete da non perdere nella visita di Vipiteno, raggiungibili in pochi minuti a piedi. Tra questi il museo civico e la chiesa parrocchiale di Nostra Signora della Palude.
Le case si presentano spesso strette e il motivo va ricercato nel fatto che in epoca medievale l’imposta dovuta per la proprietà della casa veniva calcolata sulla base della larghezza della facciata. Di conseguenza lo sviluppo era in lunghezza e parte di queste case raggiungono anche i 50 metri con cortili interni per poter illuminare le stanze. Quelle che erano dotate anche di orto, inoltre, raggiungevano direttamente le mura cittadine.
Nella Città Nuova si può vedere anche un largo uso di Erker (bovindi), un elemento architettonico nuovo per quel periodo e che permetteva di garantire un grande apporto di luce proveniente da un’unica direzione. Attualmente i bovindi sono spesso completati da fiori alle finestre, che creano un clima decisamente di paesino di montagna.
Dei palazzi storici vale la pena vedere la Casa del Giudizio Cittadino, un edificio lineare, con finestre squadrate alternate a bovindi e un tetto sfalsato che ricorda la forma di un merletto.
Questo palazzo nacque nel XV secolo come residenza di imprenditori minerari. Solo nel 1589 il granduca Ferdinand II lo acquistò per trasformarlo nella sede del tribunale. Al suo interno, oltre ad ospitare gli uffici giudiziari, sono presenti una cappella e la prigione.
Altro edificio di interesse è la Casa Flamm.
Lo stile è simile a quello del palazzo del Giudizio Cittadino, ma i bovindi si espongono all’esterno quasi come una colonna che fuoriesce dal primo piano dell’edificio fino alla sua sommità. Intorno alle finestre dei decori movimentano la facciata e al pian terreno, negli archi, si possono ancora vedere chiari segni di affreschi, che sotto al porticato si fanno decisamente più intensi.
Casa Flamm è una casa borghese in stile tardogotico caratterizzata da un cavedio piuttosto pittoresco. Dal XVI secolo venne trasformata in una bottega ed osteria. Anche questo palazzo, come molti altri lungo questa via, appartenne a un importante famiglia di imprenditori minerari, i Flamm appunto. Questa famiglia era talmente importante che nel 1518 ricevette il titolo nobiliare direttamente dall’imperatore Massimiliano I.
Al termine della città nuova è presenta la torre delle Dodici, il vero simbolo della città di Vipiteno che divide esattamente in due il centro, separando la Città Vecchia dalla Città Nuova. Questa torre rappresenta anche l’edificio più alto di tutta la città, con i suoi 46 metri e venne costruita tra il 1468 e il 1472 proprio sopra una porta cittadina. Il disegno fu opera del vipitenese Hans Feur che per la sua erezione previde l’utilizzo di blocchi di granito grigio provenienti dalle aree circostanti. La prima pietra venne posata dal duca Sigismondo d’Austria e si trova ancora al suo posto commemorata da due lastre di marmo che si trovano proprio sopra l’arco al pian terreno della torre.
Lo scopo originario della torre delle Dodici era quello di garantire la sorveglianza del territorio, attraverso un punto di vista rialzato. Al suo interno vivevano alcuni civili che si prestavano alla sorveglianza: nella torre è infatti presente una stanza al piano più alto che veniva utilizzata per controllare quanto avvenisse all’esterno. Il suo nome è però legato al fatto che i rintocchi della sua campana venivano percepiti dagli abitanti come un chiaro segnale della pausa di mezzogiorno.
Tra fine novembre e inizio gennaio, in concomitanza con i mercatini, è possibile visitare gli interni della torre, chiusa invece negli altri periodi dell’anno.
Entriamo nella Città Vecchia di Vipiteno, la zona che si sviluppa oltre la Torre delle Dodici verso nord e che ingloba anche piazza Città. Come suggerisce il nome questa zona è il nucleo da cui ha preso vita tutta la cittadina quando nel 1233 venne costruito il primo ospedale all’ingresso settentrionale di questa via. Da lì cominciarono via via a fiorire gli edifici: un castello costruito nel 1300 su iniziativa del conte Otto del Tirolo, la cappella di San Giovanni e l’albergo Krone che per secoli è stato l’unico albergo di Vipiteno e nel quale hanno soggiornato ospiti illustri.
Oggi la Città Vecchia è diventata una vera e propria attrazione turistica e così, tra i monumenti più storici, sono fioriti ristorantini, bar, gelaterie e negozietti pronti ad accogliere gli avventori. Tutte queste attività hanno preso il posto delle vecchie botteghe di artigiani. Nonostante questo è rimasto comunque ben evidente l’impianto medievale di questa zona di Vipiteno.
Citiamo per finire tra gli edifici storici più importanti il Peter Seeber Brauerei, l’Antica Birreria di Vipiteno.. La sua curata facciata color ocra su cui si aprono le finestre contornate da un profilo bianco è facilmente riconoscibile. Anche qui un’insegna antica si allunga verso la strada, con il simbolo di una corona e l’anno 1540.
La storia della birreria ha inizio nel 1875, quando Peter Seeber decise di aprirla alle spalle dell’albergo “Alla Corona d’Oro”. Immediatamente nominò suo fratello Ignaz come mastro birraio e in appena cinque anni raggiunsero una produzione di diecimila ettolitri. Non riuscirono però a mantenere a lungo questa produzione, che nel 1925 crollò ad appena 930 ettrolitri. Sotto al regime fascista la Peter Seeber venne italianizzata, così come i marchi prodotti che divennero noti come Birra Brennero, Birra Vipiteno, Birra Francesco Seeber e Birra Sterzing. La storia della Peter Seeber Brauerei terminò infine quando nel 1955 venne acquistata dalla birra Forst di Merano, chiudendone la produzione.
rispondi